Pino Falanga ha praticato da quarant’anni la fotografia perché è affascinato da ciò che vede e sente, non certo per amor del mezzo tecnico in sé, o delle sue elaborazioni un tempo in camera oscura e oggi in Photoshop.
All’inizio del suo fare ciò che più gli stava a cuore non era tanto Torino, sua città d’adozione o la lussureggiante collina nei dintorni di Superga dove vive da sempre, bensì la “sua” Africa. L’Africa nera delle savane, degli animali selvatici, la Namibia, il Benin, la Dancalia, ma anche quella che potremmo definire “bianca” perché connotata da deserti abbaglianti e dalla candida sabbia sahariana. Per Falanga l’Africa è come una Persona, anche se, paradossalmente a ben vedere non è mai un mero gioco formale di linee e di forme piane, non c’è in lui, come in altri fotografi contemporanei, quell’ossessione gestaltica e compositiva che tende all’astrazione e al minimalismo.
Con la stessa bravura, anzi di più, come direbbe Carol Rama, Falanga realizza di recente una serie di intensissimi ritratti dedicati ai suoi tanti amici artisti torinesi, che riprende andandoli a trovare nei loro studi, in mezzo ai colori come Giorgio Griffa, tra le sculture come Sciavolino, e tanti altri ancora Mario Merz, Carol Rama, Aimone, Gastini, Carena, Gilardi, Mainolfi, Ruggeri, Massaioli, Nespolo, Nicus Lucà, Preverino, Surbone, Soffiantino, Luisa Valentini, e queste belle immagini colgono bene lo spirito dell’artista, il suo Kunstvollen.
In Falanga non prevale mai l’occhio dell’autore, bensì l’occhio interiore del soggetto inquadrato in chiave psicanalitica.
Guido Curto